Il piccolo Cesare giocava con la sua piccola spada di legno nel giardino antistante la casa. Nel mondo di un bambino gli scontri e le battaglie sembrano un gioco dei grandi che sembra divertente imitare. E così, come ogni bambino, inventava nemici invisibili da sconfiggere e parlava loro emulando gli adulti.
In quel tramonto infiammato il suo nemico era quel piccolo ulivo, piegato dal vento in un mezzo inchino.
“Arrenditi e avrò pietà di te!!!” urlava percuotendolo con la sua voce squillante di bambino.
Rincasando dal lavoro nelle vigne, Francesco lo vide e le sue labbra si sporcarono di un sorriso. Aveva fatto quello stesso gioco nel parco della casa in cui era cresciuto. Com’era semplice il mondo allora, quando il bene e il male erano ben definiti, quando altri si caricavano sulle spalle le decisioni più importanti. Quando il solo impegno era inventarsi giochi.
“Nessuna resa, mio prode avversario!!!” urlò al figlio, raccogliendo un ramo da terra e sguainandolo a mo’ di spada.
Sulla camicia aveva macchie di sangue ormai secco a testimonianza di un piccolo incidente avvenuto quel pomeriggio.
Il bambino si girò, e vedendo suo padre fece un sorriso che sembrò ridare forza a quel sole che stava tramontando; durò pochi istanti, poi il bambino ritornò nel suo ruolo di valoroso soldato e iniziò a combattere con Francesco che fingeva d’essere in difficoltà.
Sentendo il loro vociare, Alena uscì di casa. Quando vedeva giocare i suoi due uomini avvertiva il suo cuore colmo d’amore. Si sentiva graziata dal fato per averli nella sua vita, e anche per aver sposato un uomo che a differenza di tutti gli altri non pensava che crescere i figli fosse cosa da donne.
Era uscita per ascoltare quella semplice felicità. Ma, da quando lui le aveva fatto leggere quella lettera, era così difficile che la sua mente restasse a lungo in quel momento di grazia, la paura del futuro sembrava sempre pronta a offuscarla.
E quando vide la camicia del marito sporca di sangue, lui sdraiato a terra che fingeva d’essere stato sconfitto, quella paura prese il comando, sibilandole nell’anima “è quello che accadrà… guarda! Il destino te lo sta mostrando…”
Con passo deciso raggiunse i due e prese la spada dalle mani del bambino.
“Non voglio più vederti giocare con questa! La guerra non è un gioco… non c’è niente di divertente!”
Francesco la guardò, e capì cosa la sconvolgesse. Essere la causa di quel turbamento lo fece sentire meschino.
“É mia!!!” gridò il bambino arrabbiato e fiero, cercando invano di riprendere la sua spada dalle mani della madre.
“Vai in casa che è pronta la cena!” lo sgridò Alena con voce ferma.
“Anche i soldati mangiano…” aggiunse Francesco alzandosi “Forza corri in casa…”
Cesare, pur non approvando quel comando, sapeva che quando entrambi gli chiedevano di fare la medesima cosa non aveva altra scelta che ubbidire.
Francesco e Alena si guardarono senza dirsi nulla.
Lei avrebbe voluto colpirlo con tutta la forza che aveva, e al tempo stesso implorarlo di cambiare idea.
Lui avrebbe voluto abbracciarla e trovare le parole per spiegarle il suo animo diviso. Ma se esistevano, lui non le conosceva.
“Dammela… la metterò nel capanno” disse infine Francesco, avvicinando la sua mano a quella di lei che teneva la spada confiscata al figlio.
“E domani gliela ridarai… tu gliel’hai fatta! Mio figlio non diventerà un soldato… non ti consentirò d’insegnargli che ci sia onore nel dare la vita per la Patria!”
“É un bambino, Nena… per lui è solo un gioco” rispose calmo Francesco prendendole la spada. L’ira che l’aveva spinta ormai era scemata, ora il suo sguardo era solo impaurito.
“Cos’è successo?” gli chiese indicando la macchia di sangue.
“Solo un taglio…” il tetto di una delle case dei braccianti doveva essere sistemato e aiutarlo gli sembrava il minimo, dato che aveva procrastinato quella riparazione per la vendemmia.
“Mio signore! Mio Signore!” un ragazzino, uno dei tanti “piciocus d’andhera” che, ancora troppo giovani per il lavoro nei campi, si rendevano utili facendo piccole commissioni in giro per il paese, stava correndo verso di loro. “Una lettera per voi…” disse porgendogli una busta.
Alena intuiva di che lettera si trattasse. Avrebbe voluto prenderla, stracciarla e lanciarla nel vento. Ma non fece niente. Semplicemente tornò in casa mentre il marito la prendeva dalla mano di quel ragazzo che ignorava il peso di ciò che aveva appena consegnato.
Torino, 28 Settembre 1799
Mio carissimo amico,
sono felice di avere tue notizie, dopo tutto questo tempo. Avevo tentato di cercarti ma senza esito. Avevo davvero bisogno di porre alla tua attenzione alcune cose. Te le dirò ora, sperando che tu non te ne avrai a male e mi crederai meno amico.
La tua famiglia era affranta alla notizia della tua morte, ma hanno trovato conforto nel sapere che al tuo fianco vi fosse un amico fedele. Mi hanno accolto, e senza che potessi impedirmelo mi sono ritrovato innamorato della tua splendida sorella Maddalena. Ci siamo sposati con il benestare di vostro padre, che purtroppo è passato a miglior vita senza conoscere i suoi nipoti. Perdonami se ti do due notizie così importanti in questo modo.
Ho lasciato l’esercito per amore di tua sorella che dopo la tua morte non voleva più perdere nessun altro amato, e ho preso in mano gli affari della vostra famiglia. Abbiamo un figlio che lei ha voluto chiamare Francesco.
Mi pesa ogni giorno tacerle la verità sul suo amato fratello. Sei sempre nei suoi pensieri, e quando parla di te nemmeno il mio amore sembra darle sollievo.
Devo dirle la verità, Francesco, soprattutto adesso che è tua intenzione tornare a casa. Non posso privarla di riabbracciare suo fratello. Perdonami se svelerò alla donna che amo il nostro segreto, ma sappiamo che ella non farà nulla per metterti in pericolo.
La situazione qui è incerta e drammatica. Il destino del Piemonte sembra appeso ad un filo, e inizio a pensare che nulla sarà mai come prima. Combattiamo, moriamo e soffriamo in nome di governi che trattano le loro terre come pedine. Ho perso quell’ardore patriottico che ci accomunava.
Qui ogni giorno è una guerriglia, e non solo contro i Francesi, ma contro la povertà, la fame e la parte più oscura dell’essere umano. Non sai quanti hanno cambiato in fretta la loro bandiera per paura di ritorsioni. Fidarsi di qualcuno è cosa rara.
L’esercito Sabaudo è pressoché disperso, un po’ a scorta dei Reali ed un po’ vagante in Europa con truppe alleate contro Napoleone.
Cercano di tagliare la testa del serpente in modo che le sue spire si allentino, e intanto Torino, la nostra Torino, è governata da militari.
Posso aiutarti, se è quello che senti di dover fare, posso fornirti documenti falsi che passeranno i controlli, con quelli potrai partire per i vari fronti oppure decidere di rimanere a Torino e aggiungerti ai tanti uomini che si ribellano ai Francesi nelle nostre strade. Non sono soldati, ma sono uomini fieri che difendono la povera gente e spesso ne pagano le conseguenze.
A te lascio la decisione. Io ti fornirò tutto ciò che riterrai necessario.
Guardarti le spalle è sempre stato un grande privilegio.
Dammi notizie in merito alla tua partenza e rivolgi i miei più sinceri saluti a tua moglie ed ai tuoi figli.
Giuseppe
A questa lettera se ne accompagnava un’altra, scritta con grafia più minuta ed elegante, da una mano femminile.
Caro fratello!
Che immensa gioia scoprire che sei vivo! Non riuscivo a credere alle parole di mio marito quando, raccontatemi tutte le vostre vicissitudini, mi ha poi fatto leggere la tua lettera, e ho riconosciuto senza dubbio alcuno la tua grafia! Quasi ho avuto un mancamento per l’emozione! Ho chiesto a Giuseppe di aggiungere questa mia alla sua risposta, avrei tante cose da dirti, e altrettante da chiederti!
Ho sposato un brav’uomo, fratello mio. Un uomo retto e fiero, degno della tua fiducia. Ci è stato così di conforto, e i suoi modi gentili e il suo sincero affetto per te mi hanno infine conquistata. Nostra madre lo ama come fosse suo figlio, e lui ricambia questo affetto con tutte le premure che dedicherebbe alla sua stessa madre, ormai defunta. È stato a fianco di nostro padre nella gestione di tutti gli affari, ed è stato di grande conforto per papà sapere di poter lasciare in buone mani la cura della famiglia. Non preoccuparti per noi, siamo ben sistemati qui, Giuseppe è un uomo saggio e accorto e non fa mancare sostegno e protezione a me, al piccolo Francesco che ha compiuto i due anni (ti somiglia molto sai? Ha i tuoi stessi occhi, gli occhi di papà buonanima) e all’anziana madre, che vive insieme a noi da quando papà ci ha lasciati ormai che saran tre anni a novembre. Spero ti sia di conforto sapere che è spirato la notte, nel sonno, senza soffrire, con i conforti religiosi e circondato dagli affetti. Che il Signore l’abbia in gloria!
Francesco, sebbene sarei immensamente felice di poterti riabbracciare, ti prego di riflettere sul passo che vuoi compiere. Preferisco saperti lontano da qui, al sicuro insieme alla tua famiglia, piuttosto che alle prese con questa folle rivoluzione! Il tuo intento ti rende onore, ma questi sono tempi senza onore, fratello mio, in cui vige la legge del più forte, e la brava gente soccombe ai soprusi e le angherie. Ho pianto per il terrore quando a maggio scorso abbiamo sentito i cannoni esplodere dal Monte dei Cappuccini.
Francesco, ti scongiuro, desisti da questo intento, abbraccia tua moglie, bacia i tuoi figli, sono il bene più prezioso! Confido che ci riuniremo in tempi migliori! Che Dio ci perdoni, e illumini i cuori di tutti noi perché possa terminare al più presto questa follia!
Con rinnovato affetto
tua sorella
Maddalena
Francesco ripose questa seconda lettera nel taschino… pur sentendosi non del tutto pulito ad omettere alla moglie quel “dettaglio”. È naturale, pensò, che una donna suggerisca la prudenza, perché dar modo a sua moglie di riprendere in mano quel discorso? Perché farla preoccupare ulteriormente? Con queste giustificazioni nella testa rientrò in casa, e si sedette a tavola per la cena.
“Partirò alla fine di Ottobre” disse infine Francesco dopo che Alena ebbe messo a letto i bambini. Durante la cena non sollevarono l’argomento, era sempre stata intesa comune che ogni discussione fosse fatta lontano dalle orecchie dei figli.
“Scriverò a Giuseppe che è mia intenzione imbarcarmi per Genova alla vigilia di Ognissanti, mi dirigerò quindi su Torino e ti darò subito notizie, appoggiandomi da Giuseppe per i successivi spostamenti. Ti scriverò ogni volta che sarà possibile, e tu potrai scrivermi a tua volta all’indirizzo di Giuseppe.”
Alena inghiottì le lacrime.
“Su, levati quella camicia, proverò a togliere le macchie con l’aceto prima che si fissino al tessuto e non vengano più via”.
Non avrebbe potuto sopportare di discutere in quel momento, con negli occhi ancora la visione di lui a terra, sconfitto e coperto di sangue. Scacciò via quel pensiero con un gesto brusco della testa, e sforzandosi di sorridere aiutò suo marito a sbottonare la camicia.
“Non m’importa delle macchie, ci penseremo domani…” le rispose lui chiudendola in un abbraccio. “Ora l’unica cosa che voglio è far stare bene la mia bella moglie…”
Iniziò a spogliarla lentamente, carezzandole la pelle senza mai smettere di guardarla, facendo seguire alle mani una scia di piccoli baci, fino a ritrovarsi in ginocchio, davanti al suo corpo nudo, ad ammirarla.
Con le dita di lei fra i capelli le baciò il ventre, le cosce, e piano insinuò la lingua sul suo sesso inspirandone l’odore e strappandole un primo sospiro.
No, non avevano bisogno delle parole, per parlarsi. Si parlavano con gli occhi, con le mani, con ogni centimetro della loro pelle. I loro pensieri passavano attraverso i pori, scaldavano il sangue nelle vene, per arrivare dritti alle loro menti, ai cuori. E lui così le parlava del suo amore, della voglia che aveva di ascoltarla, di accogliere le sue paure e scacciarle via. Con le sue dita delicatamente la sfiorava, l’avrebbe fatta risuonare di piacere, l’avrebbe portata in quel mondo fatato in cui esistevano solo loro, i loro corpi fusi insieme alle loro anime.
Con la lingua ne assaggiava il sapore, ne percepiva il calore e il suo cuore che accelerava. Incuneò due dita dentro di lei per sentire quel battito, per toccare il suo stesso cuore, e prepotente sentiva l’esigenza di dissetarsi di lei. Vederla godere, mostrarsi a lui come a nessun altro, sentirla libera, selvaggia, naturale. La creatura meravigliosa nascosta al resto del mondo, suo unico privilegio. La guardava, e la amava. I gemiti sempre più forti e incontrollati, il piacere come neve che rotolando giù per il pendio si carica della forza della valanga, la travolse offuscandole la mente, e si appoggiava alle spalle del marito che non smetteva di abbeverarsi in lei come a una fonte sacra.
Non erano necessarie parole per comprendersi… La baciò, abbracciandola per sentire tutto il suo corpo mentre si consumavano le labbra, e sdraiandosi nel loro letto scivolò in lei. Quella notte era ancora solo per loro.
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