La Vita Sessuale del Pinguino Imperatore

 “Sono qui.”

Le bastavano queste due parole per avvertire il suo calore. Anche se erano lontani.

Quell’ultimo messaggio era finito in fondo alla lista delle conversazioni, ma era sempre lì, a fare mostra di sé.

Stava acciambellata su una panchina, nel piazzale assolato proprio di fronte alla sua vetrina con il cellulare tra le mani, il pesante zaino ai suoi piedi. Lui sarà lì dentro? Se le sue abitudini non erano cambiate nell’ultimo anno, sì.

La mattina iniziava a scaldare, non sarebbe passato molto tempo prima che la panchina si trasformasse in una graticola sotto il feroce sole di luglio. Ma al momento era ancora piacevole. Sarebbe potuta restare lì per sempre. Ma era arrivata fin lì per un motivo, aveva fatto un lungo viaggio, e non aveva più senso aspettare oltre. Premette il tasto di chiamata e attese lo squillo, senza respirare.

“Ciao.”

“Ciao. Sei impegnato?”

“No. Liberissimo.”

“Fa caldo stamattina. C’è un sole che spacca le pietre. Anche lì da te?”

“Mi hai chiamato per darmi le notizie meteo?”

“Puoi affacciarti e dirmi se vedi il sole?”

“Sì, c’è il sole. Mi spieghi?”

“Non ti sei affacciato però. Puoi farlo?”

Una figura apparve dietro la vetrina. Lei deglutì, si alzò in piedi. Il telefonino nella destra, la maniglia dello zaino appesa alla sinistra.

Silenzio. Interminabile.

La porta si aprì.

“Sei qui.”

“Mi hai detto una bugia. Non hai la faccia da scemo.”

“Anche tu. Mi avevi detto che non saresti mai sparita senza salutare.”

“Mi dispiace.”

“Sali, metto su del the.”

L’appartamento all’ultimo piano era inondato dalla luce dorata del mattino, piccolo e decisamente antiquato, con i pavimenti di graniglia e il mobile da cucina anni Cinquanta color crema con il mosaico di specchietti e la vetrina scorrevole, e sebbene fosse stipato di troppi oggetti dalle origini più disparate appariva tuttavia ordinato e pulito. Le vetrate esposte a est offrivano una suggestiva vista sui tetti della città.

Mentre lui metteva il bollitore sul fornello lei gli dava le spalle, e osservava quella vista senza tempo di tetti che paiono rincorrersi a perdita d’occhio.

“È bello, qui.”

Lui la guardava, il profilo sottile si stagliava nella luce, sembrava quasi una ragazzina ribelle, con quel vestitino azzurro, corto, con le spalline sottili, i capelli raccolti in una scomposta coda di cavallo da cui ciocche indisciplinate uscivano a incorniciarne il viso, le doc Martens slacciate ai piedi. Ma non era una ragazzina, gli occhi velati di malinconia ne smascheravano l’età.

“E se fossimo in un racconto erotico tu mi avresti già baciato sul collo e avresti fatto scivolare le spalline del mio vestito fino a lasciarmi nuda di fronte a te… avresti preso possesso della mia bocca e afferrato un seno con una mano, e avresti infilato l’altra nelle mie mutandine a esplorare la mia intimità già fradicia…”

“Ma non siamo in un racconto erotico, e tu non mi hai ancora detto perché sei qui.”

Lei si voltò a guardarlo, e sorrise di un sorriso triste.

“…ma non siamo in un racconto erotico, e il momento magico sta già sfumando, andando a sistemarsi sopra il mucchio dei ricordi di occasioni mancate e di rimpianti.”

“È passato un anno. Un anno intero senza sapere se tu fossi viva o morta.”

“Ho avuto un brutto periodo.”

“La vita è complicata per tutti.”

“Mi mancavi.”

“Io non sono mai andato via.”

“Lo so. Sono stata io. Mi sono persa. Ho dovuto trovare un luogo dove curare le mie ferite, e reimparare ad abitare nella mia anima.”

Il fischio del bollitore li riportò ai più sicuri convenevoli.

“Zucchero? Limone?”

“Zucchero sì, grazie. Niente limone”

L’aroma di earl grey le riempiva le narici, mentre faceva tintinnare il cucchiaino all’interno della tazzina avrebbe voluto fermare il tempo in quel preciso, perfetto istante. Ma il brutto delle cose belle è che finiscono.

“Avevo bisogno di tempo, per imparare a pensare a te senza sentirmi in colpa.”

“In colpa per cosa?”

“Ti ricordi i discorsi sul pinguino imperatore?”

“Il pinguino sceglie il suo compagno per la vita. Si diceva che la vita da pinguini è condizionata dalla sorte anche più delle altre.”

“Il mio pinguino è morto.”

Lo disse così, d’un fiato, come a togliersi un peso. E si accorse di averlo appena ammesso a se stessa per la prima volta.

“Mi dispiace.”

Fu allora che lui notò quanto sottili fossero i suoi polsi, e il viso, pur sempre bello come lo aveva visto solo in fotografia, aveva le guance incavate, e pallide. Gli occhi sembravano ancora più grandi, e sperduti.

“Si diceva anche che i pinguini lottano per amore. E si menano anche forte. Ma devono avere la fortuna di incontrare un altro pinguino.”

“E tu l’hai incontrato?”

“Sono qui per scoprirlo.”

 

 

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