Il Passato che Ritorna

Trafelata, arrivo a casa, mi chiudo il portone alle spalle e abbandono il sacchetto della spesa sul tavolo della cucina. Davanti allo specchio, mi vedo: guance rosse, respiro affannato. Spogliandomi mi accorgo che le mutandine di cotone sono fradicie: sento l’urgenza di toccarmi, di perdere il controllo, troppo a lungo trattenuto.

Finalmente nuda, mi tuffo sul divano e chiudo gli occhi, una mano accarezza i seni e l’altra corre verso il ventre, a cercare la calda umidità che sento essersi formata tra le mie cosce.

Stavolta non ho voglia di giocare, non perdo tempo ad accrescere il piacere lentamente, ho bisogno di placare quella voglia che mi morde, mi disgrega: mi masturbo con feroce intensità, infilo brutalmente due dita dentro di me, e contemporaneamente con l’altra mano vado a strofinare il clitoride, senza grazia alcuna. La mente zittita dalla ferocia dell’istinto può solo assecondare il corpo, cerco un orgasmo che non tarda ad arrivare, un’onda calda che mi ottenebra i pensieri, e resto immobile, stremata.

Pensieri che però tornano inesorabilmente al punto di partenza…

Nuda, davanti allo specchio ancora opaco dai vapori della doccia, mi osservo.

Quarantuno anni, mi ripeto mentalmente, mentre avvolgendomi nell’accappatoio cerco nella mia immagine riflessa i segni del tempo che passa.

Perché Antonio mi fa ancora questo effetto, dopo tutto questo tempo? Eppure la nostra non è stata una storia lunga, né particolarmente seria.

Ogni volta che rivelo la mia età scattano i complimenti per come porto bene i miei “-anta”. Tuttavia, allo specchio io catturo con lo sguardo i piccoli segnali: le gambe un poco più tornite, una nuova morbidezza sull’addome, e i due seni, che prima sfidavano prepotentemente la gravità, ora sembrano come addolciti, accoglienti, materni.

Di uomini dopo di lui ne ho avuti tanti: alcuni sono rimasti nella mia vita solo il tempo di una scopata, altri mi hanno accompagnato per lunghe, a volte estenuanti relazioni. Ora però sono nuovamente single, orgogliosamente, direi. Mi prendo quello che voglio quando mi va, senza pensieri. Ho io il potere sulla mia vita.

Forse qualche tempo fa avrei giudicato implacabilmente ogni ruga, ogni cedimento, ogni imperfezione disegnata sulla mia pelle dal tempo che scorre. Ma quello stesso tempo che ha iniziato a segnarmi il corpo, mi ha insegnato anche a conoscerlo e ad apprezzarne le peculiarità, a non giudicarlo, ma soprattutto ad amarlo: la mia casa, il santuario della mia anima. Il mio sembra un corpo di madre, morbido, confortevole.

Eppure i figli non sono mai arrivati, strano il destino. Lui invece ora è padre.

Non avevo idea di cosa avesse in serbo per me il Fato quando stamattina, mi sono vestita frettolosamente, infilando le mie mutandine in cotone bianco, un paio di shorts e una felpa, le mie comode sneakers, e pronta per uscire ho legato i lunghi capelli in una coda di cavallo.

Niente reggiseno, avevo voglia di stare comoda, e poi, eran solo quattro passi per comprare due cose al volo per la cena, attraverso il parco, in trenta minuti sarò di nuovo a casa, ho pensato.

Una quarantenne vestita da teenager, sorridevo considerando che, in fin dei conti, me lo posso ancora ben permettere.

Varcato il portone, la leggera brezza settembrina mi ha fatto rabbrividire, i capezzoli improvvisamente turgidi sfregavano contro il tessuto. Ho respirato a pieni polmoni la frizzante aria mattutina, mentre mi dirigevo verso l’emporio.

E lì, mentre tastavo una mela tra i profumi delle cassette di frutta fresca, ho sentito una presenza dietro di me, e un “ciao” appena sussurrato.

Il cuore ha mancato un battito. Mi son voltata, riconoscendo quella voce, anche se erano trascorsi quasi vent’anni dall’ultima volta che l’ho sentita.

– Antonio! Ciao! Mio dio quanto tempo è passato…

Un lungo sguardo mi ha trapassato il cranio fino alla nuca.

– Ma chi è questo bellissimo bambino? – i miei occhi sono scivolati sulla sua mano destra, che stringeva quella di un bimbo dagli occhi neri, penetranti, avrà avuto sì e no quattro anni, e quegli occhi erano la copia esatta di quelli di Antonio: scuri, grandi e profondi, con quelle lunghe e folte ciglia che gli ho sempre invidiato, non aveva certo bisogno di allungarle col mascara, lui.

Il mio stomaco sottosopra, non mi aspettavo certo un incontro quando ho deciso di uscire, o non mi sarei vestita certamente come una ragazzina. Il pensiero è corso ai miei capelli raccolti, alle scarpe da ginnastica, e (oddio, se ne sarà accorto?) ai miei seni liberi da costrizioni sotto la felpa. Quegli stessi seni che lui conosceva così bene, che ha accarezzato, succhiato, stretto fino a farmi perdere i sensi, tanto tempo fa (Oddio oddio, che pensieri mi son balenati nel cervello?).

– Lui è mio figlio Max. Max, saluta la signorina.

Uff… meno male non ha detto “signora”, ho pensato sorridendo.

– Ti trovo bene – gli ho detto, ingoiando la saliva.

Ed era vero, se possibile, Antonio a 40 anni (uno meno di me) è ancora più bello dell’ultima volta che l’ho visto: alto, con le spalle larghe e un sorriso da far tremare le ginocchia, gli occhi come braci ardenti che mi scrutavano, senza far trapelare i pensieri. Quegli occhi che mi hanno sempre fatta sentire nuda.

– Anche tu sei sempre bellissima – mi ha risposto allargando il sorriso e scoprendo i denti bianchissimi, e facendomi sciogliere come il proverbiale gelato al sole. I suoi capelli, un tempo neri come le lucide piume di un corvo, erano striati d’argento sulle tempie, ma sempre folti, e leggermente spettinati. Agli angoli degli occhi, due rughe appena percettibili tradivano il tempo passato, rendendo il suo sguardo più adulto e ancora più intrigante.

Ho sentito il mio corpo fremere. Dovevo scappare, togliermi dall’imbarazzo, così ho tentato di accomiatarmi.

– Aspetta! – mi ha bloccato – Ti va di vederci per un caffè? Così mi racconti cosa hai fatto in tutti questi anni. Dai, non dirmi di no, sono sicuro che questo incontro l’ha voluto il destino.

Ho annuito, quasi senza respirare – ok, questo pomeriggio sono libera, facciamo alle quattro al bar del parco?

Cercavo di sembrare più naturale possibile, ma dentro stavo morendo.

– Ok, ti aspetto lì, porto Max da sua madre e arrivo.

L’accenno alla madre di Max è stato come un cazzotto in piena faccia… Cazzo! Antonio è sposato! In che cazzo di ginepraio mi sto infilando DI NUOVO?

Quasi stordita per l’inaspettata piega che ha preso la mia giornata, mi preparo per l’appuntamento: indecisa su cosa indossare, opto per la semplicità. Un paio di leggings di pelle neri che mi fasciano il sedere pieno, stivaletti col tacco non troppo alto, una camicia bianca e un blazer, al collo una lunga catena con un pendente che porta l’attenzione esattamente tra i due seni che, tirando leggermente i bottoni della camicetta, sembrano chiedere di essere liberati dalla loro prigione. I capelli sciolti e un trucco leggero completano il look. Un ultimo sguardo allo specchio, afferro la borsa e infilo il portone.

Il bar del parco è la mia zona di comfort: lì mi sento a casa e so che se avessi bisogno di tirarmi fuori da un impiccio, Luca, il barista, mio caro amico, sarebbe intervenuto a un mio cenno.

Alle quattro e cinque apro la porta del bar e trovo Antonio seduto ad un tavolino laterale, quasi in disparte, che guarda nella mia direzione. Mi sorride e mi fa un cenno con la mano, e io sento nuovamente quel brivido partire dal collo e arrivare fino alla vulva.

Ok, sono in ballo, ma il ballo ora lo conduco io.

Un saluto, un leggero bacio sulla guancia (lo riconosco il suo odore afrodisiaco…) e mi siedo di fronte a lui.

– Sei sempre uno spettacolo, Sa – Il tempo di qualche convenevole e arriva Luca al tavolino per prendere l’ordinazione.

– Ehi Sa, mi porti un nuovo amico? – mi dice stampandomi un bacio sulla guancia.

– In realtà lui è un vecchio, vecchissimo amico – rispondo. – Luca, ti presento Antonio: lui è la persona che mi ha fatto conoscere i Metallica, i Dream Theater e mi ha regalato il primo clamoroso orgasmo della mia carriera!

Luca ride, abituato alle mie provocazioni, e ribatte: – allora merita un giro di birra offerto dalla casa –, strizzandomi l’occhio e andando via in un baleno.

Antonio cambia espressione, diventa rosso in faccia e sembra non avere parole. Conosco quel mix di timidezza e sensualità che lo ha sempre caratterizzato, e ho voluto spingere subito il piede sull’acceleratore: sono io a dirigere il gioco.

Mi guarda con occhi interrogativi: – è la verità, in fondo, di che ti stupisci? – dico sorridendo – e ti dirò di più: tu mi hai sedotta e abbandonata, e non mi sono mai ripresa dallo shock!

Il tono della mia voce è canzonatorio, le sue mascelle serrate iniziano a rilassarsi e lui si illumina nuovamente in un sorriso.

Freud diceva che scherzando si può dire di tutto, anche la verità. Prima di lui nessuno aveva saputo farmi godere. Ero una ragazzina che si atteggiava a gran donna vissuta, ma in realtà non avevo capito nulla del sesso, fino a che non l’ho fatto con lui. Mi ha fatto scoprire il mio stesso corpo, le sue reazioni, e quanto il sesso possa essere un’alchimia. Mi ha mostrato una me che non conoscevo affatto, libera di godere, di abbandonarmi, di essere qualunque cosa volessi. Potente, forte, bellissima, libera.

Ai tempi del liceo eravamo amici, nulla di più… poi son partita per l’università, e quando l’ho rivisto, ormai uomo, mi ha corteggiato così insistentemente e dolcemente da farmi cadere ai suoi piedi come una ragazzina alla sua prima cotta.

Però… con la fine dell’estate è scappato via, tra le braccia di una fidanzata di cui nemmeno sapevo l’esistenza. Scoprire che era impegnato, che il mio ruolo inconsapevole era stato quello dell’amante, fu un colpo al cuore per me, così l’ho cacciato giù in fondo alla memoria e non ci ho più pensato… fino a questa mattina.

Antonio mi pianta gli occhi addosso – scusa, ma tu non eri vergine quando lo abbiamo fatto! Come…? – Gli leggo negli occhi che ripercorre d’un lampo i nostri momenti insieme, guarda fuori dalla vetrina del bar e deglutisce piano.

– Piuttosto, raccontami della tua vita, – dico cambiando tono, – e quindi ti sei riprodotto, ho visto… Cavoli il piccolo Max è proprio te in miniatura, farà strage di cuori da grande! – Cerco di alleggerire la conversazione, ma la mia mente mi ripropone come in loop tutti i momenti passati con lui: le sue mani grandi e calde che mi aprono le cosce con fare delicato ma deciso, e la sua bocca sulla mia pelle, la lingua che esplora ogni centimetro, sempre più in basso fino a leccarmi le labbra, insinuarsi dentro a raccogliere tutti i miei umori per risalire verso il clitoride, succhiarlo e leccarlo con sempre più passione fino a sfinirmi…

(Ok basta, smettila di fantasticare, ti sei persa metà delle sue parole, e il caffè davanti a te è già freddo!)

– …divorziato… – riesco a estrapolare dal suo riscorso non appena mi riprendo dal volo di fantasia con successiva reprimenda auto inflittami. Quindi ora è di nuovo libero, penso. Cazzo, no, non fa alcuna differenza, che mi importa? Sono una donna adulta, e lui non c’entra più niente con me.

Mi sforzo di ritornare al presente, di conversare amabilmente e chiudere questo strano incontro il prima possibile. I suoi occhi al contrario rivelano tutta un’altra intenzione. Devo andare, devo mantenere saldo il mio potere… Ancora un altro suo sorriso e non risponderei più delle mie azioni.

Mi guarda e sembra voglia mangiarmi. Anche lui pare sforzarsi di restare concentrato su una conversazione leggera, ma sento che, come i miei, i suoi pensieri stanno vagando come onde di risacca.

– Si è fatto tardi, devo andare – gli dico. Ribatte: – Ti accompagno per un tratto, ti va? – e mentre in silenzio camminiamo verso casa mia, l’uno a fianco all’altra, i nostri corpi incoscienti si cercano e bramano di sfiorarsi.

Davanti al mio portone mi conficca gli occhi negli occhi: – non voglio andarmene – mi dice.

La sua voce è bassa, roca, e la sua mano mi sfiora i capelli, arrivando alla mia nuca. Mi tira a se e socchiudendo gli occhi inspira il profumo dei miei capelli.

– Fammi salire – continua, – non so cosa mi prende ma non riesco a smettere di pensare al tuo corpo nudo. Ti voglio, e so che anche tu mi vuoi.

Mi infila la lingua nella bocca e non capisco più nulla, tutto si fa confuso, le gambe cedono e ogni muscolo del mio corpo è pervaso da un brivido di desiderio.

No, cazzo, no! Devo trovare la forza di infilare la chiave nel portone, aprirlo e scomparire dentro…

Lo lascio lì. Sono senza fiato, corro dentro casa e riesco solo a pensare: cazzo, cazzo, cazzo!

– …Dio, che scema! Sono scappata come una ragazzina alla sua prima cotta! Ma ti rendi conto?

Seduta al bancone del bar del parco, davanti a Luca che asciuga e ripone i bicchieri e ride di gusto davanti al mio disappunto.

Luca è il mio più caro amico, il mio confidente, mio fratello. Non che un secolo fa non ci sia stata una fugace storiella tra di noi, ma a livello chimico mancava proprio qualcosa, e ci siamo trovati a decidere se sparire imbarazzati l’uno dalla vita dell’altra, o fare un bel reset e restare amici. Così la nostra amicizia è diventata l’unica costante della mia vita. Lui c’era, alla fine del mio rapporto con il mio ex, a offrirmi la spalla mentre mi sembrava che le lacrime per quindici anni di vita buttata nel cesso mi avrebbero prosciugata. Ma di Antonio non era mai capitato di parlare, sepolto com’era nel ripostiglio più buio dei ricordi.

Così gli faccio un veloce riassunto, e in breve tutto ritorna in prospettiva: – il tipo ci sapeva fare, e ora siete due adulti, liberi da impegni e direi entrambi piuttosto infoiati, in fondo che male c’è a dar seguito ai vostri impulsi?

– Potresti essere più esplicito? Il vecchietto seduto al tavolino lì in fondo non ha capito bene – grugnisco.

La risata di Luca mi contagia irresistibilmente, e mi ritrovo anch’io a ridere di gusto per quanto sono stata sciocca, il tumulto emotivo di ieri pomeriggio ora mi pare ridicolo e dargli troppo peso è davvero eccessivo.

Il telefono vibra sul bancone, due piccoli colpi. È un messaggio. Apro, arrossisco, lo leggo ad alta voce a Luca: – Scusa per ieri, sono stato troppo precipitoso. Possiamo rivederci? Anto.

– Eccolo, lì, lupus in fabula. Ora sei nei guai! – ridacchia Luca: – che farai? Lo so che lo vuoi rivedere, ti si legge in faccia che ti ci vuoi fare un bel giro di giostra…

– oh, dai… non prendermi per il culo… e comunque, che gli rispondo?

Luca mi afferra il telefono, digita al volo e poi me lo restituisce. Leggo – ok – messaggio inviato.

È davvero così semplice? L’espressione di Luca, oltre all’evidente divertimento, sembra dirmi – vai, non hai nulla di cui preoccuparti…

La risposta arriva dopo meno di un istante: – stasera, vengo a prenderti alle 20:00. Ti porto in un bel posto.

– Ok, corri allora, vai a prepararti! Non vorrai presentarti con quei capelli? – ridacchia di gusto – e indossa quel vestitino nero svasato che ti sta da dio!

Dopo un paio d’ore trascorse davanti al guardaroba in preda al delirio seguo il suggerimento di Luca e mi infilo il vestito nero. Arriva al ginocchio, aprendosi a corolla e rivelando degli inserti di tessuto beige leggero che fanno fluttuare la gonna ad ogni passo. Abbino una paio di sandali piuttosto alti, che mi aiuteranno a non sentirmi così piccola di fianco a lui che mi sovrasta di un bel po’ di centimetri, infilo un soprabito sciancrato, senza revers, essenziale, e scelgo la pochette nera con bottone gioiello. I capelli, lunghi e castani, ricadono sulle spalle con onde leggere e naturali, il trucco stasera è un po’ più accentuato, ma sempre naturale. Mi guardo allo specchio e mi piaccio, immagino la reazione che avrà Antonio davanti a questo spettacolo. Luca ha sempre ragione!

Alle otto in punto un messaggio: – sono qui sotto, ti aspetto.

Proprio davanti al portone mi attende una bella automobile scura, con lo sportello del passeggero aperto e il suo sorriso invitante. Mi porge la mano, si avvicina al mio viso per un bacio appena sfiorato e sento che inspira discretamente come a voler catturare il mio profumo. Quel gesto mi fa vibrare.

Anche lui è vestito con cura: un bel blazer strutturato che gli disegna le spalle, camicia bianca con l’ultimo bottone aperto e senza cravatta e pantalone scuro, classico ma non eccessivo. Un bel cambiamento dal ventenne perennemente in pantaloni di pelle e maglietta nera, capelli rasati e occhi bistrati!

Glielo faccio notare, e sorride indicando il mio vestito – anche tu sei diventata una donna raffinata.

Saliamo in auto – allora, dove mi porti? – cinguetto.

– Lo vedrai.

Accende la musica regolando il volume al minimo, e risuona piano l’incipit di una canzone che conosco bene: “So close, no matter how far…”

– Ricordi questa canzone?

– certo – rispondo –“Nothing else matters” me l’hai fatta conoscere tu un milione di anni fa…

– Avevo quindici anni, e tu sedici. Lo sai che da ragazzino ero pazzo di te, mentre tu non mi degnavi di uno sguardo. Ero grasso, impacciato, goffo, sempre con la musica nelle orecchie, seduto sui gradini della piazzetta. Ti sei seduta accanto a me, e io mi sono tolto le cuffie per poggiarle sulle tue orecchie.

Tu hai chiuso gli occhi e hai poggiato la guancia sulla mia mano che reggeva la cuffia, posandoci sopra la tua e dischiudendo le labbra lievemente. Che visione! Avrei voluto prendertele quelle labbra, farle mie, ma ero paralizzato. Quella immagine di te ce l’ho sempre scolpita nella mente, e ha accompagnato le mie seghe per anni!

Rido di gusto alla sua versione di quella storia, ricordo bene quel momento ma ero totalmente ignara di aver provocato in lui quel tumulto. Io in quel periodo non avevo occhi che per Tore, capitano della squadra di calcio e fratello maggiore di Antonio, un cretino integrale a cui per fortuna ho dato solo un paio di baci con la lingua e ricevuto una rude palpata alle tette.

Arriviamo a destinazione, un ristorantino sulla spiaggia che già conosco, si mangia bene, ed essendo ormai quasi alle porte di ottobre, è quasi vuoto e piuttosto romantico. Ci accomodiamo davanti alla grande vetrata in un tavolo per due con candele, una rosa e un cestello con una bottiglia di bollicine pronta per noi.

– Svenevole marpione – gli dico sorridendo, però devo dire che apprezzo le sue attenzioni.

La cena è squisita, il vino mi dà piacevolmente alla testa e Antonio, dopo la confessione in macchina, mantiene la conversazione leggera, piacevole e deliziosamente provocante. Non è più il ragazzino goffo, ma neanche il giovane stallone dei vent’anni. È un uomo, è bello, mi fa sentire come se il mondo intorno a noi non esistesse.

Terminiamo la cena con un sontuoso dessert accompagnato da un bicchiere di moscato che mi manda definitivamente su di giri. Anche Antonio sente che forse quell’ultimo bicchiere è stato troppo, e propone una passeggiata sulla spiaggia per smaltire l’alcol prima di riprendere l’auto. La serata è fresca, ma non spiacevole: con i sandali in una mano e appoggiandomi al suo braccio iniziamo a camminare sotto la luce della luna.

In quel momento, forse per l’effetto del vino, forse per il contatto con il suo braccio caldo e forte, avverto avvampare il desiderio: il fuoco che era stato lentamente alimentato per tutta la sera, ora lo sento bruciare lungo la schiena, e tra le cosce. Se mi prendesse ora, qui, non opporrei alcuna resistenza. Credo che lui lo sappia, lo vedo guardarmi e sorridere, e non fare assolutamente nulla.

– Ti chiedo scusa – la sua voce rompe il silenzio, gravemente – ti ho scopata per ripicca.

Sarà per colpa dell’alcol, che le mie reazioni sono molto rallentate… o della sorpresa per quella confessione totalmente inaspettata… ma l’unica cosa che sono riuscita a fare è un’espressione di stupore con la bocca dischiusa in un “oh!” ma senza l’emissione di alcun suono.

“Cazzo Sa, tu uscivi con mio fratello! Quanto l’ho odiato! Ti guardavo andare via con lui, e impazzivo al pensiero delle sue mani su di te, la tua bocca profanata dalla sua lingua e le tue carni morbide contro il suo corpo. Quando sei andata via all’università ho deciso che dovevo fare qualcosa: mi sono messo a dieta, mi sono sfondato di palestra e ho iniziato a scoparmi tutte le ragazze che mi venivano intorno, voracemente, senza alcun sentimento. Non facevo fatica a trovare una troietta da scopare. Dopo tutti quegli anni ti ho cercato per provare a me stesso che tu non eri diversa da tutte le altre.

Ma non eri come tutte le altre, non lo sei mai stata e non lo sarai mai. Sono scappato come un vigliacco, sapendo di averti ferita.”

Mi annusa i capelli, sento i battiti del suo cuore all’unisono con il mio, e non riesco a dire una parola. La sua voce è come un afrodisiaco, i suoi occhi mi attraversano l’anima.

– Si è fatto tardi, ti porto a casa.

Arrivati sotto casa, sono io che lo bacio con passione egli chiedo di salire da me. Sono decisa a vivermi questa esperienza, sarà quel che sarà. Lui mi stringe, ricambia il mio bacio, sento le nostre lingue intrecciarsi e i nostri corpi cercarsi. Il suo odore addosso mi fa girare la testa.

Con la sua bocca sulla mia gola e le sue mani dappertutto riesco a richiudere la porta dietro di noi.

Inizia a spogliarmi lentamente, le sue mani scivolano sapientemente sui miei abiti che ricadono a terra lasciandomi esposta, la pelle nuda vibra sotto le sue carezze. Mi solleva senza alcuno sforzo, sospira e mi trattiene a sé. Le sue labbra cercano le mie, la lingua calda mi invade la bocca. Sento la sua eccitazione che mi travolge. Mi posa sul tappeto come un prezioso oggetto sacro con cui inizia la sua liturgia: bacia i miei seni, li accoglie fra le mani a celebrarne le forme, continua a baciare, leccare e mordere la mia carne disegnando con la punta della lingua percorsi di passione, si immerge tra le mie cosce per abbeverarsi alla mia sorgente, devoto e instancabile, mai sazio fino a provocarmi un orgasmo che mi squassa completamente, lasciandomi tremante.

Solo allora, soddisfatto, mi sorride, si sdraia di fianco a me facendomi posto dentro il suo abbraccio, e mentre mi ravvia una ciocca di capelli dalla fronte sussurra:

– Il destino ti ha riportato da me… Ora che ti ho ritrovata voglio scoparti come meriti per il resto della mia vita.

 

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