I Racconti di Samael – La Costellazione dell'Unicorno – 2

Non era così che l’avevo immaginata…” disse Sabrina posando la fronte sul petto di Simone.

 

“E come l’avevi immaginata?”

 

“Non così! Non con un bacio…”

 

Si staccò da lui avvicinandosi alla balaustra del terrazzo.

 

“É stato così terribile?”

 

Simone cercava di scherzare, nella speranza di capire quali pensieri stesse facendo Sabrina.

 

“No… è questo il problema Simo! Io dovevo venire qui, rivederti e rendermi conto che era tutto nella mia testa… che… Dio lascia perdere!”

“La vuoi la verità?” Simone si sedette sul cornicione, al suo fianco.

 

Lei rimase in silenzio, continuando a guardare verso il giardino. Nel frattempo in terrazza arrivarono Leonardo ed Enrico accompagnati da Maddalena, Ludovica e un’altra donna di cui Simone non ricordava il nome.

 

“É lo stesso motivo per cui sono venuto qui io…” disse piano affinché solo lei potesse sentirlo.

“Oh… non abbiamo interrotto qualcosa, vero???” cinguettò ubriaca Ludovica, vedendoli.

 

Non aveva di certo perso la sua vena da primadonna. Simone di lei ricordava bene che riusciva ad essere inopportuna anche quando stava zitta… figurarsi quando parlava!

“Niente…” mentì, per non dar loro la soddisfazione di avere qualcosa di cui sparlare. Conoscendoli l’avrebbero fatto in ogni caso, sperare che il tempo li avesse cambiati era come mangiare un tiramisù sperando di dimagrire.

“Devo ancora capire come siete riusciti ad organizzare questa festa in un posto come questo!” disse Maddalena rivolgendosi a Leonardo.

“Oh beh, grazie al mio lavoro ho alcuni contatti giusti…” iniziò a pavoneggiarsi Leonardo.

Gli era sempre piaciuto mostrarsi per più di ciò che è in realtà, probabilmente disegnarsi come al di sopra dei comuni mortali placava tutte le sue insicurezze o forse credeva davvero che fosse una strategia vincente per far cadere ai suoi piedi le donne… e magari con alcune funzionava anche.

“Non è poi così complicato” intervenne Simone “l’affittano per cerimonie ed eventi: basta pagare” continuò, facendo cadere la sceneggiata da uomo inserito di Leonardo.

Quella di cui non ricordava il nome lo guardò con evidente sguardo di disapprovazione, le si leggeva in faccia che stava per ribattere qualcosa ma il suo intervento fu bloccato dall’arrivo di Vittorio.

“Eccola la donna più bella della festa!” le disse.

Vittorio: l’unico che riusciva con la sua sola presenza a rendere simpatici tutti gli altri. Nei ricordi di Simone non esisteva una persona che avesse disprezzato di più di quel piccolo pallone gonfiato a scoregge. Un essere meschino e viscido.

“Adulatore…” miagolò maliziosa la “senza nome” (Ilona? Yvonne… boh… qualcosa del genere) prendendolo a braccetto.

Perfino Leonardo ed Enrico presero piuttosto male l’arrivo di Vittorio, era più che palese nei loro sorrisi tirati.

Simone scivolò giù dal parapetto.

E quel movimento obbligò Vittorio a smettere di guardare la sua Dea.

“Ah ci siete anche voi. Hanno invitato proprio tutti!” disse. Probabilmente convinto di aver fatto una battuta da grande comico.

Sabrina era rimasta in silenzio, forse immersa nei suoi pensieri o forse ammutolita da quella confessione di Simone.

“Il mio atto di presenza l’ho fatto… buon proseguimento.”

Simone non sapeva bene come reagire al silenzio di Sabrina, e riteneva sarebbe stato decisamente meglio per entrambi andare via, e per ottime ragioni aveva sempre evitato di rimanere troppo in uno stesso posto con Vittorio le ottime ragioni si potevano riassumere nella voglia troglodita che solo lui sapeva risvegliare di assestargli un bel pugno in faccia per farlo stare zitto.

“Wow… Sabrina sei finalmente riuscita ad annoiare anche lui!” esordì Vittorio proprio mentre Simone gli stava passando vicino.

E Simone avrebbe voluto davvero tanto essere una persona più distinta. Ma non lo era, e soprattutto ricordava ancora troppo bene ogni singola volta in cui si era dovuto sforzare di non tirare fuori le mani dalle tasche e stampargliele su quella faccia da culo.

Gli diede un pugno bello assestato su quel sorriso da capetto che aveva dipinto in faccia.

Vent’anni fa si era sempre trattenuto, in fondo era uno con cui bene o male avrebbe poi dovuto convivere ( anche solo nelle aule di lezione) ma ora… ora per certo non l’avrebbe più visto e così… senza dire niente, finalmente si tolse quella voglia.

Si sentì come se finalmente avesse mandato giù una medicina. Finalmente Vittorio avrebbe potuto capire quando fosse pericoloso fare il coglione a oltranza.

“Consideralo il saldo per tutte le stronzate che ti ho sentito dire!” disse freddamente Simone guardando Vittorio caduto a terra.

Leonardo si mise davanti “Che c’è? ti avverto che potrei averne anche per te!”

“Ma che modi sono!” Ludovica con fare materno si chinò per dare soccorso a Vittorio.

Sabrina in silenzio guardava solo Simone. I loro sguardi s’incrociarono per qualche secondo.

Entrambi sapevano il perché di quella reazione.

“Vado a prendere del ghiaccio” trillò la “senza-nome.”

“Io ti denuncio!” bofonchiava da terra Vittorio, ferito più nell’orgoglio che nel fisico.

“Il mio nome lo sai!” ribatté Simone andandosene via.

Aveva quasi raggiunto il parcheggio dove aveva la macchina quando sentì Sabrina chiamarlo.

“Avevo dimenticato che sei un vero esperto nei saluti!”

“Nel senso?”

“Che la tua soluzione per tutto è quella di dare un pugno a quel cretino e poi girarti ed andare via…” disse lei arrabbiata.

Ora era arrabbiata? Per cosa? Per il pugno o perché stesse andando via?

“Beh non è che mi sembrassi così desiderosa che rimanessi eh…”

“Non mi hai mai chiesto di restare!” disse lei come se sputasse fuori un veleno che aveva tenuto dentro per troppo tempo.

“Stai parlando di…”

“Si! Cazzo Simone SI!!! Tu non hai mai nemmeno provato a tenermi qui… mi hai lasciato andare via ed io ho passato gli ultimi venti anni a chiedermi il perché! E speravo che quello che mi ricordavo di noi fosse solo un’esagerazione… che fossi solo giovane, ingenua ed ancora troppo romantica… che in fondo il nostro rapporto non fosse mai stato poi così speciale come lo ricordavo…perché era la sola spiegazione logica al tuo riuscire a liquidarmi come se nulla fosse in aeroporto! Preferivo non fossimo stati niente, piuttosto che pensarti uno stronzo che mi aveva solo preso per il culo… e poi… poi ti vedo, e ti parlo…e ci baciamo e…”

I suoi occhi erano lucidi per il pianto che cercava di trattenere.

E mai, prima di quel momento, Simone si era sentito più piccolo e stupido: aveva ragione, lui non aveva nemmeno provato a fermarla, ma non per le ragioni che aveva elencato lei… e forse venti anni fa era più incasinato ed immaturo per dire la verità ad alta voce, ma ora aveva imparato… anche grazie a lei, aveva imparato cosa si può perdere nel non dire quello che si pensa nel momento giusto… a quanto male può fare al prossimo lasciarlo appeso ad un punto interrogativo.

“Come potevo essere così egoista da chiedertelo Sabrina?! Avevi quella proposta di lavoro vicino a casa… dicevi che ti mancava la tua famiglia… sembravi non avere dubbi… ed io ho sperato che cambiassi idea ma…”

Venti anni sono tanti, e ognuno di loro si era riscritto nella mente quegli ultimi giorni.

 

Entrambi si resero conto che non ne avevano mai davvero parlato.

Si erano sforzati di più a rendere quegli ultimi giorni insieme da ricordare ignorando quella data di scadenza che pendeva sulle loro teste.

 

Il tavolo da gioco si lascia sempre quando stai vincendo… magari quella regola del casinò vale anche per la vita.

Allora perché erano uno davanti all’altra in quel parcheggio sentendo di aver sbagliato qualcosa? Di aver perso l’occasione della vita?

“Andiamo” disse Simone aprendo la macchina.

“Dove?” chiese Sabrina.

“Da qualsiasi parte lontano da qui.”

Salirono in macchina e nel tragitto verso quel posto indefinito non si dissero nulla. Entrambi immersi in quei nuovi pensieri che ancora dovevano riordinarsi e trovare il proprio spazio nella storia, lasciando che fosse la radio a riempire quel silenzio.

 

Vedere il mondo scorrere fuori dal finestrino era in fondo rilassante. Come se il mondo stesse prendendo le distanze da loro, come se tutte le ragioni per cui avrebbero dovuto stare lontani volassero via, scivolando sulla carrozzeria della macchina per ricadere sull’asfalto che lasciavano alle loro spalle.

“Se ti avessi chiesto di restare l’avresti fatto?”

Simone finalmente era pronto ad avere la risposta a quella domanda.

“Non lo so” ammise lei “So che la vita con te mi sembra molto più… facile.”

Simone sfruttando il deserto notturno del viale fece una veloce inversione ad U.

“Scopriamolo” disse, dirigendosi verso quella che ai tempi era casa sua, quando da studente viveva ancora con sua madre.

Meno di 10 minuti dopo stava aprendo il cancello, e fermò la macchina.

“L’ultima sera che hai passato qui, hai dormito in questa casa… avevi già svuotato il tuo appartamento.”

“Me lo ricordo… ma non credo che tua madre sarà felice di rivedermi a quest’ora della notte.”

“Lei non è in casa, e io ho le chiavi.”

Aprì il cruscotto e prese un mazzo di chiavi “Andiamo… ne approfitto per dare l’acqua alle sue piante” aggiunse scendendo, certo che lei l’avrebbe seguito.

Sabrina si guardò intorno entrando in casa “é rimasto tutto identico…”

“Più o meno…” rispose Simone lanciando le chiavi sul mobile dell’ingresso.

“Tua madre dov’è andata?”

“A zonzo con altre pensionate…” accese le luci del salotto “accomodati…”

“Non dovevi dare acqua alle piante?” disse lei andando verso il divano bianco di pelle.

“Dopo… adesso vedo che cosa c’è da bere” Simone tolse la giacca e si diresse verso il mobile dei liquori.

“Posso andare in bagno?” chiese Sabrina.

“Si, certo, é… lo sai dov’è…” Sì. Lo sapeva dov’era il bagno. Era stata in quella casa molte volte.

Rimasto solo, Simone prese il cellulare e mandò un messaggio a sua moglie:

“é suonato l’allarme a casa di mia mamma. Rimango qui a dormire per spegnerlo nel caso suoni ancora.”

Non poteva nascondere a se stesso di sentirsi una merda nell’inviare quel messaggio. Non gli piaceva mentire, non gli piaceva ritrovarsi ad essere un uomo capace di tradire e mentire a qualcuno che si fidava di lui.

Era cresciuto con un padre maestro in questa pratica e si era promesso di non farlo mai. Ma non riusciva a vedere quella situazione come un vero tradimento, e dovendo essere onesto, quel messaggio non l’aveva mandato per tranquillizzare sua moglie, ma perché niente e nessuno potesse interrompere quel momento con Sabrina.

Se solo avesse potuto, avrebbe fermato il tempo a quella singola notte.

“Non pensare…” si disse posando il cellulare sul mobile e iniziando a vedere se sua madre in quell’armadietto avesse ancora qualcosa di bevibile. Una piccola collezione di amari che probabilmente si trovavano lì anche l’ultima volta che era venuta Sabrina in quella casa.

“Non abbiamo una vasta scelta…” disse quando la sentì ritornare nella stanza “o degli amari vintage… o grappa” si girò a guardarla e la vide sedersi sul divano e sfilarsi le scarpe per potere appoggiare la gambe sulla penisola, e a causa di quel semplice gesto dovette ignorare tutti i pensieri indecenti che gli passarono per la mente “oppure in frigo dovrebbe esserci dell’acqua e… forse del the freddo.”

“La grappa va bene.”

“Hai così fiducia nelle tue capacità alcoliche!” disse prendendo la bottiglia e due tumbler da amaro posati sul mobile. Vecchi bicchieri di cristallo che si tramandavano da generazioni Probabilmente quei bicchieri di cristallo che si tramandavano da generazioni. Probabilmente quei bicchieri erano sopravvissuti ad entrambe le guerre.

“Nel tempo le ho anche affinate!” scherzò lei mentre lui andava a sedersi sul divano e posando sul tavolino i bicchieri versò la grappa.

“Staremo a vedere…” disse Simone porgendole il bicchiere.

“A cosa brindiamo?”

“Decidi tu…”

“Al pugno che hai dato a Vittorio… ah ah ah giuro che avrei voluto filmarlo quel momento… potevi avvertirmi!” rise lei.

Quel pugno! Se l’era quasi scordato… “Minchia che deficiente!”

“E la faccia di Ilenia… impagabile!”

“Ecco come si chiama… Ilenia!!!”

“Giura! Come potevi esserti scordato della donna con la vagina d’oro?” disse lei sarcastica.

“Forse perché la chiamavamo diversamente…” disse bevendo, e lei lo imitò.

“É strano…” sussurrò Sabrina, guardandosi intorno.

“Cosa?”

“Essere qui…”

“Vuoi andare via?”

“No…”

 

Un silenzio imbarazzato scese fra di loro. “Vuoi andare via?” “no”…valeva per quel momento o entrambi si riferivano a venti anni prima? Dov’erano in quel preciso istante? Nel tempo e nello spazio del resto del mondo, o stavano compiendo un viaggio nel tempo che li aveva riportati a quell’ultima notte insieme?

Era davvero impossibile capirlo. Era impossibile scindere la realtà che li aspettava fuori da quella casa, dai ricordi e dai sentimenti che sentivano l’uno per l’altra nel ritrovarsi così vicini.

Si trovavano al centro dell’occhio del ciclone… intorno a loro tutto era in movimento, tutto era cambiato, tutto era diverso e frenetico… ma loro erano ancora immobili, fermi in quel senso di esclusività che non avevano mai provato più per nessuno e che ad entrambi era mancato come l’aria.

Sarebbe stato più sensato trovare un qualsiasi argomento per riempire quel silenzio, sarebbe stato più razionale continuare a fingere di riuscire a mantenere il controllo.

Ma la ragione in quella casa non era entrata. Era rimasta fuori in quel giardino buio in attesa che uscissero.

“Simo… io non ho mai smesso di pensarti…” disse lei, come se non potesse più trattenere quel pensiero, come se avesse bisogno che lui lo sapesse, come se dirglielo potesse cancellare quegli anni di mancanza. Come se potesse curarla di quelle ferite che lasciavano segni sulla sua pelle.

Quante cose avrebbe potuto risponderle… milioni…e sarebbero state tutte vere, e tutte avrebbero portato ad un semplice “ti amo” nascosto fra le pieghe di ogni pensiero che la riguardava.

Ma Simone non era mai stato bravo ad esprimere i suoi sentimenti. Era più facile per lui dimostrarli che dirli a parole, e per questo scelse di non sforzarsi a cercarne e a sciogliere quel nodo che aveva nel cuore avvicinandosi a lei, lentamente per darle il tempo di spostarsi, di lasciarle scegliere se incontrare ancora una volta le sue labbra.

Lento e inizialmente pudico, quel bacio li abbracciò entrambi facendoli scivolare dentro al tempo in cui quelle labbra erano “casa”… e la danza li portò a trovarsi sdraiati l’uno sull’altra, e quella fusione risvegliò tutte le sensazioni che non avevano dimenticato, che avevano solo chiuso dentro una piccola cassaforte del cuore.

Il sapore della bocca di Sabrina, il profumo della sua pelle… le sue mani che calde lo accarezzavano lasciando al loro passaggio solo la voglia di poter avere di più. Morbido, passionale e lascivo, quel bacio toglieva loro il fiato e al tempo stesso sembrava farli finalmente respirare.

I corpi nascosti sotto ai vestiti anelavano a sfiorarsi… pelle che cerca pelle per non sentirsi nuda. Baci, carezze e contatti parlavano per loro, raccontando la loro storia meglio di qualsiasi parola… Storia che era iniziata molti anni prima, che non si era davvero chiusa con la distanza e che, ora lo sapevano, sarebbe sopravvissuta anche a loro.

Non c’è un perché, non c’è mai un perché… alle volte basta arrendersi all’idea che da alcune persone non potrai mai andartene davvero.

Sabrina aveva preso quell’aereo 20 anni prima, ma non se n’era andata. Lui l’aveva conservata nascosta in una tasca perché non facesse troppo male ricordarla… c’era nelle note di ogni canzone che avevano ascoltato insieme, c’era in quei momenti in cui solo lei avrebbe potuto capirlo, c’era in ogni bacio in cui l’aveva cercata, c’era sempre stata… lì in quella tasca del cuore in cui metteva solo le cose preziose… e c’era, adesso, lì… fra le sue braccia…

Lei gli sfilò la camicia dai pantaloni per posare le sue mani sulla pelle della sua schiena, lui le accarezzò la coscia alzandole il vestito.

Pelle che si chiamava, pelle che si cercava.

Lui scivolò dalle sue labbra verso il suo collo, mentre sentiva i movimenti lenti di Sabrina contro di sé.

La sola cosa sbagliata in ciò che stava accadendo era aver aspettato così tanto perché potesse accadere di nuovo… pensò Simone mentre la sua bocca compiva un viaggio sul corpo di Sabrina fino ad arrivare alla scollatura. Le baciò i seni attraverso la morbida seta che li copriva, trattenendosi dallo strappare quel vestito… Sentì le mani di Sabrina posarsi sulla sua testa, infilarsi fra i suoi capelli.

Alzò lo sguardo per poterla guardare: lì, con lui, su quel divano in quella sera in quell’universo parallelo dove il tempo non esiste.

Bella come la ricordava… forse di più, perché ora a differenza di allora sapeva cosa significasse non poterla avere.

Lei lo spinse delicatamente perché s’inginocchiasse fra le sue gambe.

Sollevò il busto fino a sedersi e lenta iniziò a sbottonargli la camicia baciandogli il petto mentre lui le teneva i capelli per poterla guardare… per essere sicuro che fosse davvero lì, che fosse reale, che non fosse solo un sogno.

Una mano di Sabrina si posò sulla cintura, slacciandola per poi passare ai pantaloni che ormai non potevano più nascondere quanto fosse grande la voglia che lei sapeva fargli crescere.

Simone si chinò per poter raggiungere ancora le labbra di lei, mentre sentiva la mano di Sabrina accarezzare il contorno della sua erezione da sopra i suoi boxer.

Infilò una mano delicato fra le sue gambe fino a sentire al tatto il pizzo bagnato delle mutande di lei.

Spostargliele di lato per poter accarezzare le sue grandi labbra, sentire il suo corpo vibrare e rispondere ricambiando quelle intime carezze abbassando l’elastico dei boxer.

Vestiti ed al tempo stesso nudi, perché loro erano sempre stati tutto ed il contrario di tutto…

Il crack del pizzo che si strappa quasi contemporaneo a quella spinta decisa che lui le diede per farla tornare sdraiata su quella nuvola bianca in cui erano saliti sedendosi su quel divano.

Si sdraiò su di lei, lasciando che i loro sessi si strusciassero cercando la via per fondersi in quel piacere che infrange ogni pudore e ragionevolezza…

Le abbassò la scollatura del vestito scoprendo il suo seno e si tuffò sul suo capezzolo che presto sentì diventare turgido… per poi sentire il bisogno forte ed impellente della sua bocca… ansimarono all’unisono su quel bacio nell’istante infinito in cui sentì d’entrare in lei.

Lei strinse le gambe attorno ai fianchi di Simone e lo invitò a entrare posando le mani sulle sue natiche e spingendo il bacino verso di lui, che lento scivolò dentro di lei completamente, assaporando ogni singolo millimetro di quella fusione, ritrovando ogni infinitesimale dettaglio di estasi che ricordava…

Smise di baciarla solo per poter vedere il suo viso mentre iniziava a muoversi lento dentro di lei. Occhi negli occhi, con la consapevolezza che non servono grandi acrobazie per godere l’uno dell’altra, che forse… il sesso migliore è quello che viene da più lontano , da quel battito del cuore che riesce a scuotere la mente e diffondersi come un terremoto raggiungendo l’anima . Il sesso migliore è quello in cui il piacere del corpo è solo la conseguenza di quel qualcosa di infinitamente più grande delle parole che si potrebbero usare per descriverlo.

La sentì ansimare più forte e stringerlo, aumentò il ritmo sapendo che per entrambi stava per arrivare l’apice di quel piacere… quell’orgasmo folgorante che aveva aspettato troppo tempo arrivò come un fulmine per entrambi, iniziò dentro al bacio più passionale che si fossero mai dati… e li lasciò così storditi da non rendersi conto che era terminato…

“Perché non mi hai chiesto di restare?” chiese lei accarezzandogli il viso.

Non c’era giudizio in quello sguardo, solo la dolcezza di chi malinconicamente sta ripercorrendo i viali di qualcosa che avrebbe potuto essere.

“Te l’ho già detto il perché…” sorrise lui baciandola a stampo e rimanendo sdraiato su di lei.

“Dimmi la verità…” disse lei. Lo conosceva troppo bene per non sapere che quella di non voler essere egoista era solo una scusa a cui aveva creduto per nascondere altro.

Qualcosa che gli costava fatica ammettere.

Lui scivolò via da sopra di lei per sdraiarsi al suo fianco. Non era pronto a dirle tutta la verità guardandola negli occhi.

“Non ero pronto a farmi rispondere che non volevi rimanere ”

 

Non ero pronto a farmi rispondere che non volevi rimanere.

Ora era così chiaro. Solo ora aveva la maturità di confessare quello che all’epoca non aveva coraggio d’ammettere a se stesso.

Se lui le avesse chiesto di restare e lei non l’avesse fatto? Aveva paura di scoprire come avrebbe reagito…e forse sì… piuttosto che affrontare quella paura aveva preferito perderla.

L’altro lato della medaglia della sicurezza in se stessi è la confusione nel realizzare che esiste una persona nel mondo capace di farti vacillare…

quella persona per Simone era Sabrina.

“Ed io avevo paura a restare…” disse Sabrina.

I loro occhi si cercarono. Simone le prese la mano posandosela sul petto.

“Ti ho trovata lungo il fiume che suonavi una foglia di fiore…”

Simone canticchiò piano quella vecchia canzone di De Andrè che gli aveva sempre ricordato lei e che le aveva anche dedicato una sera ad uno squallido karaoke.

Scivolarono in un bacio.

Avevano ancora una notte per non pensare a quello che sarebbe successo all’alba.

 

Ma ora lasciamoli da soli, sdraiati su quel divano, sulla stella più luminosa della costellazione dell’Unicorno…

…ognuno immagini la fine che preferisce…

Io preferisco continuare a lasciarli fermi lì, fuori dal tempo, e dallo spazio.

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