La nota positiva di avere avuto un padre come il suo era che aveva imparato presto a fregarsene dei giudizi degli altri.
Simone era praticamente cresciuto sentendosi sempre e costantemente in difetto per qualcosa: troppo egoista, troppo menefreghista, troppo arrogante, troppo stronzo… non c’era giudizio che qualcuno potesse rivolgergli che già non avesse sentito, elaborato e rispedito al mittente.
Ferirlo od offenderlo con parole era un’impresa difficile, qualcuno ancora ci riusciva ma era un “merito” che andava solo a chi amava.
La verità è che lui conosceva così bene se stesso da poter fare un elenco oggettivo di pregi e difetti, e aveva preso la consapevolezza che non avrebbe provato a sembrare diverso da com’era, sarebbe stato troppo faticoso… perché aveva capito che chi ti ama lo fa anche per i difetti e chi ti odia lo farà anche per i tuoi pregi.
“Migliore di ieri ma sempre e solo me stesso” il suo piccolo mantra utile per ogni occasione.
Lo ripeté mentalmente quando mise il primo piede a quell’evento.
Lo avrebbe evitato volentieri, ma per quelle duecento persone che non poteva sopportare ce n’era una per cui valeva la pena d’essere lì.
Se quella era la sola occasione in cui avrebbe potuto vederla allora avrebbe anche partecipato ad un party con Lucifero in persona.
La grande sala settecentesca del castello in cui si stava volgendo il gala sembrava colma di ipocrisie, buonismi stucchevoli e opportunismi da quattro soldi.
Persone che si erano parlate alle spalle per mesi ora scambiavano brindisi e sorrisi.
Sembravano tutti così bisognosi d’attenzioni da dimenticare l’amor proprio.
“È in eventi come questi che si concludono gli accordi migliori” avrebbe detto suo padre. Lui era il re dell’ipocrisia e dell’opportunismo: disposto a dire tutto e il contrario di tutto per averne un tornaconto.
Però non aveva torto, essere un animale sociale è anche questo. È andare in posti dove non si vuole andare, parlare con persone che non si vorrebbe incontrare e sorridere a battute penose.
Alcuni lo chiamano quieto vivere, o meglio… lo chiamano così per giustificarsi, per rendere più accettabile a se stessi buona parte del teatrino delle falsità che si stanno costruendo intorno.
Fermo davanti ad una vetrata a parlare con alcune donne, vide un suo collega: Enrico. Anche se non poteva sentire di cosa stessero parlando, era sicuro che lui stesse facendo sfoggio di cultura con le interlocutrici.
Aveva ben poco da spartire con Enrico. Già dire che fossero conoscenti era un’esagerazione.
Guardandosi intorno, cercò il bar più vicino. Senza nemmeno una goccia di alcool in corpo non avrebbe potuto sopportare i tre quarti dei presenti.
Nell’attesa che il barman arrivasse a servirlo diede un occhio alla bottigliera, e vedendo il Vermouth Cocchi sentì la voglia impellente di un Manhattan.
E mentre il suo veleno era in preparazione, notò quanto quella musica moderna fosse dissonante, sparata ad alto volume in un salone delle feste concepito per tutt’altro tipo di situazioni.
La sala affrescata, gli ornamenti barocchi, quelle immense vetrate affacciate su un giardino perfetto creavano tutta quella aspettativa di mondanità più decadente e artefatta.
Lusso forzato, sfoggio di apparenza totalmente svuotato di significato.
Eppure era lì. Immerso in tutto ciò che non gli piaceva… quindi forse doveva ammettere di farne parte. Di contribuire in un qualche modo.
Alcuni ballavano nell’area davanti alla consolle. Donne brille che sfoggiavano il loro abito migliore, che giocavano ad essere sexy, sensuali ed ammiccanti, sculettando e strusciandosi l’una contro l’altra. Compiacendosi di quell’immaginario palcoscenico su cui alcuni uomini le avevano poste, osservandole con la concupiscenza di chi spera di far parte dello spettacolo.
Passano gli anni ma certe cose non cambiano mai: ad ogni festa che si rispetti ci saranno sempre le profumiere e gli uomini che sbavano loro dietro rendendosi ridicoli, cercando di seguirle nelle loro danze.
Simone era così concentrato a guardare lo show davanti alla consolle che quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla si sentì come strappato via dai suoi pensieri.
“Cosa bevi?”
Ed eccola, la ragione per cui era lì, fasciata in un elegante abito di seta nera.
Meravigliosa senza bisogno di troppi artifici, gli sorrideva felice di averlo trovato.
“Un Manhattan” rispose, mentre il barman tuffava la ciliegina al maraschino nella coppa Martini e faceva scivolare il bicchiere verso di lui.
“Mai provato… è buono?” chiese Sabrina.
“Assaggia.”
Lei prese delicatamente il bicchiere cercando di non far tracimare il suo contenuto e delicatamente appoggiò le labbra sul bordo.
Nel farlo cercò lo sguardo di lui.
Non voleva essere maliziosa, non cercava di sedurlo, eppure tutto di quel momento sembrava cantare la sua sensualità.
Le labbra rosso rubino, lo smalto nero, quegli occhi color nocciola dolci ed al tempo stesso misteriosi sembravano un invito ad esplorare il mondo che esisteva sotto la sua pelle.
“Avevo capito non saresti venuto” disse Sabrina posando il bicchiere vicino a lui senza svelargli se il drink le fosse piaciuto.
“Ho cambiato idea all’ultimo” rispose Simone prendendo il bicchiere e bevendo un po’ del cocktail che aveva ordinato.
Gli sembrò quasi di poter sentire il sapore delle labbra di Sabrina, come se per lei fosse impossibile non lasciare un ricordo di sé in ogni cosa che toccasse.
“E cosa ti ha fatto cambiare idea?” chiese lei curiosa.
“Tu” disse lui senza troppi giri di parole, senza cercare scuse. La verità è sempre la strada più facile, eppure troppo spesso lo si dimentica.
“Io? e che ho detto per farti cambiare idea?” chiese lei sorpresa e imbarazzata per quella confessione a bruciapelo.
“Detto? Niente. Ma sembrava uno sbaglio lasciarti qui da sola.”
“Non sarei stata da sola…”
Era vero, in fondo era vero. Bene o male tutti conoscevano tutti a quella festa e questo rendeva tutti un po’ da soli e un po’ insieme.
Erano passati circa vent’anni dall’ultima volta che erano stati tutti così vicini… poi l’università era finita, gli studenti fuorisede erano tornati nelle loro città e quelli che ancora s’incrociavano erano diventati estranei.
E ora erano tutti un po’ più vecchi.
Nonostante il tempo passato lei era rimasta la stessa che aveva salutato all’aeroporto vent’anni prima, e anche l’unica ragione per cui si ritrovava a quella assurda rimpatriata.
“Quindi me ne posso andare?” scherzò lui.
“Ti taglio le gambe se te ne vai… Sei la sola buona ragione per cui posso evitare di dover parlare con Ludovica… aveva già iniziato a raccontarmi tutte le sue fantasmagoriche avventure!”
“Adesso sembra piuttosto impegnata a farla annusare a Leonardo…” Simone indicò in direzione della pista.
“Dio… credo che questa notte avrò gli incubi!!! Qualcuno dovrebbe dirgli che è aritmico eh…”
“No, è un nuovo ballo… si chiama “Lo scimmione epilettico con dissenteria…” disse lui serio, mentre entrambi guardavano quell’imbarazzante spettacolino.
“Sei tremendo” rise Sabrina.
Ricordava quel sorriso, possedeva la magia di farlo sempre sentire a casa.
Solo ora che lo rivedeva capiva davvero quanto gli fosse mancato.
“E tu sei bellissima” avrebbe davvero tanto voluto dirglielo ma sembrava così scontato, chiunque con un paio di occhi se ne sarebbe accorto e di certo più di una persona gliel’aveva già detto prima di lui.
Sabrina era una delle poche a cui il tempo avesse fatto sconti. Sembrava ancora la ventenne di allora.
Quante notti aveva passato a esplorare ogni centimetro del suo corpo. Simone ricordava ogni dettaglio… anche quelli che probabilmente lei stessa ignorava.
Più volte in quei venti anni passati si era detto che il solo motivo per cui lei gli era rimasta dentro era solo per il modo brusco ed inevitabile per cui fra loro era finita, si era dovuto convincere di averla idolatrata per poter andare avanti e non continuare a paragonare a lei ogni donna che incontrava.
Ma ora era palese che non fosse così… c’era sempre stato in lei qualcosa che la rendeva unica e speciale.
Sabrina era il suo unicorno.
“Ho visto che ti sei sposato…” disse lei per riempire quei minuti di silenzio scesi su di loro. Un silenzio forse troppo carico di ricordi e pensieri per entrambi.
“Si, tu stai ancora con…” non ricordava il nome del suo compagno. Lei gliel’aveva detto quando qualche tempo prima si erano ritrovati tramite Facebook e l’organizzazione di questa reunion.
“Sì…” non sembrava un sì convinto e contento. Simone sapeva interpretarla, e a differenza di molti lì, gli era sempre chiaro quando lei cercava di mostrarsi serena e tranquilla per non mostrare il fianco, per non svelare le sue debolezze o le cose che la ferivano.
“Brutto periodo?”
“Diciamo così…” sorrise lei “Ma francamente non mi va proprio di parlarne…”
“Meglio… perché io di starti ad ascoltare mentre mi parli del tuo compagno proprio non ne ho voglia… tanto lo so che è un pirla!” scherzò.
“Ah si? E come lo sai ?”
“Lo so. Io so sempre tutto quello che c’è da sapere” disse lui con fare sfacciato facendole l’occhiolino.
“Ah giusto… l’avevo dimenticato… e hai sempre ragione” disse lei divertita.
“Esattamente!”
“Ciao… scusate se vi disturbo!!! Ma devo!” disse Ilaria arrivando da loro con un’urna con sopra appoggiato un notes e un pennarello.
“Sta per arrivare il momento a grande richiesta… dovreste scrivere il titolo di una canzone e metterlo nell’urna, così il DJ può suonare la vostra canzone se viene estratta!!!”
La voce entusiasta e sovraeccitata di Ilaria faceva venire voglia di assecondarla senza fare domande solo per evitare che parlasse ancora.
Simone prese il blocchetto. Così su due piedi non sapeva che canzone scegliere, poi guardò Sabrina che nel frattempo chiacchierava con Ilaria e la canzone riaffiorò da sola dal mare di ricordi legati alle note.
Scrisse, strappò il foglietto e lo mise nell’urna. Sabrina fece lo stesso e guardarono Ilaria raggiungere altri invitati.
“Andiamo a fumare? Fumi ancora?” chiese poi Simone.
“Sì, e sì.”
Poco distante dal bar c’era la zona fumatori, ovvero una grande terrazza. Fuori l’aria era fresca ma piacevole, una bellissima serata di tarda primavera.
Il giardino illuminato faceva da sfondo e guardandolo era così facile pensarlo pieno di nobildonne che passeggiavano spettegolando sugli intrighi di corte.
Chissà a quanti scandali aveva fatto da cornice quell’immenso giardino, quante storie avrebbe potuto raccontare se solo le sue fronde avessero potuto parlare.
“Quando riparti?” chiese Simone porgendo la fiamma dell’accendino alla sigaretta di Sabrina.
“Domani pomeriggio. Lunedì devo lavorare”
“OK! RAGAZZI AVETE TUTTI SCELTO LA VOSTRA CANZONE… ORA PARTIAMO CON LE ESTRAZIONI!!!” la voce del Dj arrivò su quella terrazza dalle casse poste anche sulla terrazza.
“Vorrei stare con te fino a quel momento” avrebbe voluto dirglielo, ma forse era meglio non dirlo, forse era meglio bere l’ultimo sorso del suo drink per riempirsi la bocca e non dire qualcosa che avrebbe potuto allontanarla.
Dalle casse partì come prima canzone a scelta proprio quella scelta da Simone.
“Stella stai” di Umberto Tozzi.
“Non ci credo… sei stato tu!” rise lei riconoscendola.
“Colpevole!”
“Dio mio!!! Ma quanto eravamo sbronzi quella sera!?!”
“Io mi ricordo altro di quella sera…”
Lei lo fissò.
Entrambi senza dirselo erano tornati con la mente a quella sera.
Per una ragione che ora lui non ricordava stavano litigando… prima di quel momento non erano mai andati d’accordo: si sentivano così diversi, lei che si era fatta di lui un’idea diversa e lui che ancora non aveva compreso gli angoli più spigolosi del suo carattere…
Ma per il grande dogma che “gli opposti s’attraggono”, proprio non riuscivano a ignorarsi… e quella sera… beh quella sera in quella balenga festa universitaria di carnevale, durante quella litigata qualcosa era scattato… come se quella discussione avesse avuto la funzione di un ariete capace di sfondare la parete di paure e pregiudizi… improvvisamente il mondo aveva rallentato, si era reso silenzioso.
E mentre lei stava argomentando le sue obiezioni, lui decise che non aveva più voglia di continuare quel gioco di “Cane e Gatto” e si era semplicemente arreso alla voglia che aveva di farla tacere con un bacio.
Il loro primo bacio. Un bacio tanto inaspettato quanto senza ragione. Un bacio che aveva sorpreso entrambi e che era stato l’inizio di tutto… di tutto quello che erano stati e che ancora erano…
Perché in fondo e nonostante tutto erano sempre stati la cosa migliore che avevano potuto vivere.
Sabrina prese dal gambo la ciliegina al maraschino rimasta sul fondo della coppa
“Questa non la mangi?” chiese avvicinandosi a lui.
“Tutta tua…” rispose Simone sostenendo il suo sguardo e appoggiandole una mano sul fianco.
Lei si portò la ciliegia alle labbra e diede il primo morso.
“Ho cambiato idea…” sussurrò Simone avvicinandosi a quelle labbra “ voglio assaggiarla.”
“Tardi…”
“Un modo c’è…”
Le loro labbra praticamente si stavano già sfiorando.
“C’è sempre un modo… basta volerlo…” sussurrò lei appoggiando le braccia sulle spalle di Simone.
Una frazione di secondo dopo ritornarono magicamente a quel momento di vent’anni prima in cui avevano conosciuto per la prima volta il sapore di un bacio perfetto.
Il nastro di una vita andata avanti nonostante tutto si era riavvolto riportandoli a quel momento indimenticabile…
(continua? forse…)
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