Il Pugnale

La lama luccicante penetra lentamente nella carne calda. Il suono impercettibile è quello di un fruscio, non pare davvero che un movimento tanto compassato possa provocare tutto quel dolore.  

La pelle si lacera, lentamente, nettamente. La prima goccia di sangue stilla, si ingrossa e rotola giù attratta da quella forza di gravità che tutto trascina verso il cuore della Terra. 

La lama prosegue il suo percorso, senza esitazione alcuna, con un solo, lento movimento affonda nella carne separando due lembi, ciò che prima era uno, ora è disgiunto, separato, estraneo a sé stesso. I due lembi si sollevano, si gonfiano, il rosso che esonda nel tentativo inutile di ricongiungerli in un liquido abbraccio, negato dalla fredda lucentezza del metallo. 

L’incontro infine con la durezza dell’osso è uno scontro impari, ne umilia l’orgoglio: lui si incrina, si spezza in piccole schegge che passando dalla parte del nemico feriscono a loro volta la carne tenera che prosegue il suo caldo pianto.  

Il suo viaggio termina affondando nel cuore, lo sorprende al punto da non dargli il tempo di capire, di cercare di riorganizzare l’importante compito che a lui è stato assegnato: portare la vita in ogni angolo. E lui ci prova, fino all’ultimo battito, a condurla dove deve andare, ma il suo sforzo ha il solo risultato di pomparla via più velocemente al di fuori, dissolvendola nel nulla. Troppo leggera per essere vincolata dalla legge di Newton. 

La lama arretra, non luccica più dei bagliori del metallo, è tinta di rosso e a sua volta lacrima per la sofferenza procurata. Ma le sue lacrime sono inutili. 

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